Che la riappropriazione dei nostri spazi virtuali riparta da Pictochat
Che la riappropriazione dei nostri spazi virtuali riparta da Pictochat
Nel 2004 arriva il Nintendo DS, con il suo doppio schermo, il touch screen e poi lui, il bellissimo PictoChat. Una piccola applicazione di cui, all’epoca, ci si chiedeva l’utilità, un po’ come succede con le tasche finte nei pantaloni. Ma chi ci giocava davvero sapeva che PictoChat non era solo un passatempo: era uno spazio libero, una sorta di playground digitale dove poter comunicare con gli amici, ma anche con se stessi, attraverso disegni, scarabocchi e messaggi surreali.
L’idea era geniale e minimale: un foglio bianco digitale, lo stilo come matita e un massimo di 16 persone connesse in locale, senza bisogno di internet. Si potevano scrivere parole, certo, ma chi mai avrebbe scelto di scrivere quando si potevano disegnare faccine, nuvolette, meme ante litteram e persino vere e proprie storie illustrate?
PictoChat era il social network perfetto, ma senza like, senza notifiche e soprattutto senza la paura di essere visti dal resto del mondo. Forse per questo funzionava così bene.
Dal punto di vista estetico, il fascino di PictoChat stava nella sua semplicità. Pixel grossi, pochi grigi, ma tantissima libertà. Un’estetica che oggi chiameremmo"lo-fi"e che, paradossalmente, era proprio il suo punto di forza. Perché quando hai pochi strumenti, la creatività prende il sopravvento. Non c’era bisogno di effetti speciali o filtri glitterati: bastava uno stilo e la voglia di parlare con l’altro.
Oggi, a vent’anni di distanza, PictoChat sembra quasi una profezia. La comunicazione digitale si è riempita di emoji, sticker e GIF. Abbiamo chat vocali, call su Zoom, lavagne digitali collaborative… eppure quella purezza, quella libertà espressiva così immediata, è ancora difficile da trovare. Forse perché il mondo digitale di oggi è troppo complesso, troppo esposto, troppo pieno di notifiche che ci distraggono dal semplice piacere di disegnare un omino stilizzato con una battuta scema.
Ma c’è di più: PictoChat è stato un unicum nella comunicazione digitale. Una modalità che, in teoria, poteva essere un’arena di sovraesposizione e caos, ma che in pratica si rivelava un’oasi priva di tossicità. Perché? Semplice. Non c’erano reazioni ai singoli messaggi, non si poteva quotare qualcuno per rispondere velenosamente, non c’era la possibilità di inoltrare un disegno per tramandarlo ai posteri con un commento sarcastico. Ogni cosa rimaneva lì, effimera, esattamente come le parole dette al vento.
E poi c’era la meccanica più geniale di tutte: mentre ti accanivi per comporre la tua replica perfetta con lo stilo, probabilmente il messaggio originale era già stato sepolto sotto altri scarabocchi, caricature e disegni incomprensibili. Tra il tempo di pensare a una risposta acida e il tempo necessario a scriverla, l’intero senso della conversazione era già sfumato.
E allora, cosa restava da fare?
Solo partecipare.
Disegnare, scrivere, lasciare un segno che non fosse per forza definitivo, ma che potesse contribuire al flusso collettivo. Anche per dire qualcosa di cattivo, ma senza il peso della permanenza. E questo, in un mondo dove ogni parola può essere archiviata, ripescata e analizzata anni dopo, è una libertà impensabile.
E la cosa straordinaria è che questa modalità è così affascinante da sembrare un misto tra il modo in cui gli uomini primitivi lasciavano segni sulle caverne e qualcosa di futuro che ancora non abbiamo colto. Forse sarà proprio la chiave di volta per una nuova rivoluzione nella comunicazione, qualcosa di più a misura d’uomo, meno soggetto alla perenne valutazione degli altri, più vicino alla pura espressione spontanea.
Qualcuno, però, se n’è accorto. Progetti come Pict.Chat stanno riportando in auge quell’idea di libertà espressiva attraverso il disegno e la comunicazione istantanea. Oggi tornare a un linguaggio più diretto e visivo potrebbe essere la chiave per un nuovo modo di interagire. Un po’ come aveva già intuito Nintendo, ma senza forse rendersene conto del tutto.
Alla fine, PictoChat era in anticipo sui tempi. E forse oggi, con strumenti più avanzati ma la stessa voglia di disegnare stickmen nei momenti di noia, possiamo finalmente dargli il posto che merita: quello di un vero precursore della comunicazione digitale più autentica e umana.
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