Lo vedi quel pulsante delle cookies? È una trappola per topi.

Lo vedi quel pulsante delle cookies? È una trappola per topi.

I dark patterns sono l'equivalente digitale delle trappole per topi: ingannevoli, subdoli, spesso così ben mimetizzati che gli utenti se ne accorgono solo quando è troppo tardi.

Le loro origini risiedono nella dark art del design persuasivo, quella zona ambigua della UX/UI in cui la progettazione smette di essere empatica e diventa manipolativa. Il termine “dark pattern” è stato coniato nel 2010 da Harry Brignull, un esperto di user experience che ha deciso di smascherare quelle pratiche che trasformano la navigazione in un percorso a ostacoli con l’unico scopo di confondere, spingere agli acquisti o intrappolare gli utenti contro la loro volontà. Sono il prodotto del capitalismo digitale sfrenato e della cultura del “massimizzare a tutti i costi”, dove l’etica viene spesso messa da parte.

Facciamo un passo indietro fino all’età d’oro degli abbonamenti per corrispondenza: un trucco classico era rendere incredibilmente facile l'iscrizione, mentre la cancellazione richiedeva di districarsi in un labirinto burocratico. Lo stesso principio è stato poi adottato nel mondo digitale, con abbonamenti che si rinnovano automaticamente, link per la disdetta nascosti negli angoli più remoti delle impostazioni e interfacce progettate per mettere alla prova la pazienza umana. La "Iliade dell’account Prime” di Amazon è un esempio emblematico: nel 2021, il Norwegian Consumer Council ha denunciato l’eccessiva complessità della cancellazione di un abbonamento Prime, un processo volutamente macchinoso. Ma non finisce qui. Pensiamo alle interfacce che spingono gli utenti a cliccare su pulsanti colorati e invitanti per accettare i cookie, mentre l'opzione “rifiuta tutto” è relegata in un angolo con caratteri minuscoli e grigi, come se fosse un disclaimer radioattivo.

La vera domanda è: questi trucchetti funzionano davvero? Nel breve periodo, sì, perché sfruttano l’impulsività, la fatica decisionale e l’attenzione limitata degli utenti. Ma nel lungo periodo? Ed è qui che la faccenda si fa interessante. Le persone imparano, si frustrano e spesso reagiscono abbandonando i servizi, lasciando recensioni negative o, nei casi peggiori, intentano cause legali.

Nel 2022, Epic Games ha dovuto sborsare 245 milioni di dollari per l'uso di dark patterns in Fortnite, che ingannavano i giocatori—molti dei quali bambini—facendoli effettuare acquisti non intenzionati. L'Unione Europea e la FTC negli Stati Uniti stanno iniziando a stabilire dei confini, con normative sempre più rigide contro queste pratiche.

Qual è l’alternativa, quindi? Se l’obiettivo è creare un’esperienza che funzioni davvero, l’approccio giusto è fatto di chiarezza, correttezza e rispetto per l’utente. Un’interfaccia ben progettata deve guidare, non costringere; deve persuadere con trasparenza, non con inganni. Alcuni brand lo stanno capendo: Apple, per esempio, ha reso il controllo dei dati personali molto più accessibile rispetto ai suoi concorrenti, guadagnandosi fiducia invece che sospetti. Accessibilità e usabilità non sono optional, ma l’unico modo per costruire esperienze digitali che non solo funzionino, ma creino anche fedeltà. Perché la fiducia, a differenza delle metriche gonfiate con trucchetti da quattro soldi, non si può resettare con un aggiornamento.

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